“Qualsiasi dato diventa importante se è connesso ad un altro” -Umberto Eco, Il Pendolo di Foucault
Per imparare a ricordare dobbiamo innanzitutto capire la natura e l’ubicazione della memoria.
Le prime ricerche in tal senso risalgono agli anni ’40 e ’50 del secolo scorso e si concentrano su quello che all’epoca sembrava il posto più ovvio dove rintracciare l’origine della memoria: i neuroni.
Dopo aver insegnato ad una cavia a trovare la via d’uscita in un labirinto, i ricercatori ne “spegnavano” alternativamente parti del cervello per vedere se ciò ne influenzasse in qualche modo la memoria.
Dopo diversi tentativi infruttuosi- la cavia riusciva sempre a ritrovare la via d’uscita nonostante questi “spegnimenti” localizzati- i ricercatori conclusero che la memoria doveva trovarsi altrove.
E altrove iniziarono a cercare concentrandosi non più sulle singole cellule bensì sui collegamenti tra esse. Oggi sappiamo che ognuno dei circa cento miliardi di neuroni è collegato ad altri 7 mila neuroni a formare una rete densa ed intricata che misura approssimativamente 150.000 km.
Questo è il motivo per cui i ricercatori non riuscivano ad individuare un luogo puntuale nel quale pensavano fosse localizzato il ricordo del labirinto. Perché la memoria non risiede in un indirizzo specifico ma è sparpagliata su un intero quartiere sconfinando a volte in quartieri limitrofi fino ad occupare intere città.
E sono proprio i collegamenti all’interno di questi quartieri e tra quartieri diversi la chiave che apre alla comprensione della memoria.
Questi collegamenti seguono degli schemi che si formano secondo un processo meccanico sorprendentemente semplice: i neuroni che si attivano assieme si legano tra loro. Nota anche come legge di Hebb, questo è il principio che spiega come ricordiamo qualsiasi cosa.
Livelli di elaborazione: il filtro mnemonico
A separare ciò che ricordiamo da ciò che dimentichiamo sono 4 livelli di elaborazione delle informazioni che costituiscono una sorta di filtro con cui il nostro cervello può discernere le informazioni importanti da quelle irrilevanti per poter funzionare in modo efficiente senza sovraccaricarsi.
Questi 4 livelli corrispondono ai 4 tipi di domande del seguente questionario che degli psicologi sottopongono ad un gruppo di studenti negli anni 70′:
Struttura: quante lettere maiuscole ci sono nella parola BEAR?
Suono: APPLE fa rima con Snapple?
Concetto: TOOL è un sinonimo di “instrument”?
Legame personale: ti piace la pizza?
A distanza di qualche giorno dal questionario, gli stessi studenti sono stati sottoposti ad un test di memoria a sorpresa per vedere quante parole del questionario ricordassero.
Emerse che i loro ricordi erano nettamente influenzati dal tipo di domanda: BEAR e pizza erano in rapporto di 1:6. Per ogni risposta esatta che riguardava il numero di lettere maiuscole nella parola BEAR, ce n’erano 6 riguardanti la pizza.
Se il risultato poteva essere prevedibile, per nulla scontato è il meccanismo che lo determina. Per contare il numero di lettere maiuscole all’interno della parola BEAR, non ho bisogno di evocare l’immagine di un grosso animale peloso a 4 zampe perché il cervello si limita a lavorare in superficie rimanendo sul primo livello di elaborazione, quello strutturale.
Qualcosa di ben diverso accade chiedendo a qualcuno se gli piace la pizza perché la domanda coinvolge direttamente il destinatario e innesca una serie di collegamenti diffusi in varie aree del cervello che attivano percezioni sensoriali e ricordi di varia natura per stabilire se il cibo in questione è di suo gradimento o meno.
Il cervello mette automaticamente in atto un meccanismo di ricerca di corrispondenze per attribuire significato a questo insieme di quattro lettere pizza (livello strutturale) e allo stesso tempo ne riconosce il suono (livello fonetico) evocando l’immagine di un impasto fragrante ricoperto di pomodoro e mozzarella (livello concettuale) che suscita una molteplicità di ricordi (livello personale).
In una frazione di secondo questa domanda attiva quasi simultaneamente i 4 livelli di elaborazione che concorrono a rendere un ricordo più forte e sei volte più facile da recuperare che una sequenza di lettere in maiuscolo.
Questo stesso filtro che il cervello attiva per lavorare in modo efficiente è anche ciò che rende difficile ricordare le parole di una lingua straniera.
Come ricordare per sempre il lessico di una lingua straniera
Per far sì che una nuova parola, espressione o modo di dire diventi un ricordo stabile, devo coinvolgere tutti e quattro i livelli di elaborazione delle informazioni attivando e disattivando il filtro a piacimento.
Operando a livello strutturale, quello più superficiale, il cervello è in grado di riconoscere delle sequenze di simboli e di attribuirne un significato. Questo mi serve per poter leggere ed eventualmente individuare errori di ortografia, ma non mi aiuta a codificare delle informazioni in un ricordo.
Quasi nessuno degli studenti del questionario ricordava di aver contato le lettere maiuscole in BEAR. Ecco che se voglio far in modo che una parola risuoni come un ricordo, devo lavorare al livello del suono, senza voler fare giochi di parole.
Il suono è ciò che collega la struttura della parola all’apparato fonatorio (la bocca) e a quello uditivo (l’orecchio) e che mi permette di parlare e ascoltare. Ripetendo mentalmente o a voce una parola, attivo in continuazione parti del cervello che collegano struttura e suono rafforzando, in una sorta di feedback positivo, il ricordo delle informazioni.
La parola apple (che fa rima con snapple) veniva ricordata due volte tanto rispetto a BEAR (che ha 4 lettere maiuscole) dai soggetti che hanno preso parte al questionario.
Nemmeno il suono tuttavia basta a trasformare una parola nuova in un ricordo stabile. Per fare questo dobbiamo scendere al terzo livello, quello concettuale. Ancora una volta, gli stessi studenti ricordavano la parola TOOL (sinonimo di instrument) due volte di più rispetto a apple/snapple.
I concetti, specie se concreti, si possono codificare velocemente in immagini e chiamano in causa contemporaneamente parti diverse del cervello. Per questo motivo ricordiamo con facilità questo tipo di informazioni, non tanto perché siano più importanti di altre.
A questo punto la domanda è: come posso trasformare una parola straniera, magari strana e difficile da pronunciare, in un ricordo indelebile?
La risposta risiede nel quarto e ultimo livello, quello dell’esperienza individuale, che tiene assieme e rafforza gli altri tre. Nel momento in cui riesco a collegare struttura, suono e concetto ad un’esperienza multisensoriale, trasformo quella che è una memoria ordinaria in un archivio sconfinato dove depositare migliaia di informazioni lessicali.
Provate semplicemente a pensare al vostro film preferito o ad un episodio di una serie TV che vi ha particolarmente coinvolto. Concentratevi e ripercorretene mentalmente ogni scena, ogni dialogo, ogni dettaglio, provate a ricordare gli oggetti che popolano la scena, come sono vestiti i personaggi, che cosa succede.
Sono frammenti di informazioni che con uno sforzo minimo riuscite a rievocare perché saldamente ancorati da qualche parte nella vostra memoria visiva, uditiva e cinestetica.
In altre parole tutte queste informazioni forniscono il tassello mancate di un quadro perfetto, quello in cui tutti i livelli di elaborazione precedentemente descritti concorrono a rendere indimenticabile il lessico di una lingua straniera.