Se per ogni azienda, grande o piccola che sia, innovare continua ad essere un aspetto cruciale per la propria crescita, il problema diffuso resta l’elevato tasso di insuccesso dell’innovazione stessa.
Secondo un recente sondaggio di McKinsey l’84% degli intervistati- dirigenti di grossi gruppi internazionali- attribuisce all’innovazione un’importanza strategica, ma il 94% di essi si dichiara insoddisfatto dei risultati ottenuti dalle proprie società.
Il tema è paradossale perché nell’era di ciò che vengono definiti big data ci si aspetta che tutte le informazioni su clienti e schemi di consumo di cui le aziende dispongono- sia a livello quantitativo sia qualitativo- possano ispirare e orientare strategie innovative di successo. E invece succede l’esatto opposto: il tasso di successo dell’innovazione è deludente rispetto all’enorme disponibilità di dati.
Questo succede perché i dati sono strutturati in modo da mostrare correlazioni nei comportamenti di consumo. E se sappiamo bene che correlazione non vuole dire necessariamente causalità, spesso e volentieri non si coglie il fatto che informazioni di tipo demografico e psicometrico-questo cliente è molto simile all’altro, il 68% dei clienti dice di preferire la versione A alla versione B, ecc.-, su cui si basano molti dei processi decisionali, non aiutano a capire il motivo per cui si acquista un bene o un servizio né le ragioni alla base di un certo comportamento da parte del consumatore.
La teoria del job to be done aiuta le aziende ad andare oltre questo tipo di dati e a guardare in profondità alle abitudini di consumo per rispondere ad una domanda fondamentale: cosa cerca di ottenere un cliente nel momento in cui “assume” o ingaggia un certo prodotto o servizio? Riformulandola dalla prospettiva di chi innova, la stessa domanda potrebbe essere posta in questi termini: quali sono le criticità e i problemi che il cliente cui mi rivolgo sperimenta in un contesto ben definito e che gli impediscono di raggiungere un certo obiettivo causando frustrazione e preoccupazione? E come posso risolverli?
Il caso dei “downsizers” di Dallas
Emblematica in questo senso è stata la presa di coscienza di Bob Moesta, un consulente esperto in innovazione, assunto da un costruttore di Detroit per aiutare i propri agenti spingere le vendite di una serie di mini appartamenti di nuova costruzione.
L’azienda costruttrice e la propria squadra di venditori avevano tutte le carte in regola per piazzare con successo tutte le abitazioni in tempi brevi: avevano fatto le opportune ricerche di mercato e individuato il bacino di potenziali acquirenti -i cosiddetti downsizers, persone che dopo il pensionamento o causa di una separazione cercano un casa più piccola-; gli appartamenti erano moderni, eleganti e completamente arredati; avevano investito molto in pubblicità acquistando spazi in primo piano nella sezione degli annunci immobiliari sui principali quotidiani locali.
Non c’erano motivi per pensare che le vendite non sarebbero decollate. Eppure qualcosa non andava.
Questo è il momento in cui entra in scena Bob che adotta un approccio apparentemente banale: va ad intervistare i pochi proprietari che fino a quel momento avevano acquistato e tutti i potenziali clienti che bussavano alla porte del costruttore per chiedere informazioni ma che poi, per un motivo o per un altro, “posticipavano” la decisione di acquisto.
Ciò che emerge dalle conversazioni tra Bob, clienti e potenziali clienti circa dubbi e titubanze al momento di acquistare è sorprendente: il tavolo da pranzo che si sarebbero lasciati alle spalle.
Oggetto caro a tutti coloro che stavano maturando la decisione di cambiare casa, il tavolo da pranzo custodiva una miriade di bei ricordi- i momenti conviviali in famiglia, quaderni e libri sparsi mentre i figli facevano i compiti, ecc- cui nessuno avrebbe rinunciato.
La spazio destinato alla sala da pranzo nei mini appartamenti non era stato pensato per un tavolo formato famiglia e quindi i futuri acquirenti si trovavano di fronte ad una scelta difficile: trasferirsi nel nuovo mini appartamento e lasciarsi alle spalle il tavolo e il suo significato emotivo oppure cercare un’altra soluzione.
E molti hanno optato per la seconda opzione prima che l’impresa costruttrice cambiasse la propria strategia su suggerimento di Bob: per un sovrapprezzo irrisorio il cliente avrebbe acquistato non solo il servizio di trasloco ma anche la locazione per due anni di una porzione di magazzino all’interno del complesso residenziale dove conservare tutte quelle cose di cui non era ancora pronto a sbarazzarsi in attesa di una decisione.
Inoltre, cambiando la disposizione interna di alcuni mobili, è stato possibile fare spazio per un eventuale tavolo più grande nella sala da pranzo.
Quando l’impresa ha capito che la propria mission in questa circostanza non era costruire mini-appartamenti destinati ai downsizers, ma aiutare un gruppo specifico di persone a trasferirsi e cambiare vita, le vendite si sono impennate in un momento in cui il mercato immobiliare era al palo.
Questione di circostanze
Se dalle ricerche di mercato sono emersi l’esistenza di una forte domanda di un certo tipo di abitazione e il profilo del cliente ideale, gli stessi dati non indicavano quale fosse il cosiddetto job to be done che, come si è scoperto successivamente, era solo in parte quello di soddisfare il bisogno di una nuova casa con una serie di caratteristiche ben precise.
La parte mancante, quella che poi risultò essere determinante ad interpretare aspettative e speranze dei clienti, era questa: facilitare la transizione ad una nuova vita senza la pressione di dover scegliere in fretta quali cose della vita precedente lasciare e quali invece conservare.
Le circostanze, vale a dire il contesto in cui il consumatore o cliente ha un problema da risolvere, sono più importanti delle caratteristiche del consumatore tipo, degli attributi del prodotto, di nuove tecnologie o tendenze.
Prima di comprendere le circostanze dei propri potenziali clienti e quindi prima di comprendere il lavoro da fare, il costruttore si era preoccupato di offrire un mini appartamento da sogno.
Solo dopo aver capito il potenziale dell’innovazione dalla prospettiva del cliente, è riuscito ad avere un vantaggio competitivo cambiando le regole del gioco: non era più questione di concorrenza con altri mini appartamenti simili, bensì con l’idea del potenziale cliente di rinunciare alla possibilità di trasferirsi.
Job to be done: come identificarlo
Secondo il “Breakthrough Innovation Report 2012-2016” di Nielsen, su 20.000 nuovi prodotti lanciati nel mercato in questo quadriennio solo 92 di essi hanno fatto registrare vendite di oltre 50 milioni di dollari nel primo anno e un fatturato sostenuto nel secondo anno.
Senza entrare nel merito dei singoli prodotti, ciò che li accomuna e li distingue da tutti gli altri è il fatto che corrispondono ad un’attività estremamente precisa (una bevanda fredda a base di caffè che fa rivivere a casa l’esperienza del bar, una lettiera agglomerante per gatti pratica e leggere, ecc.) che fino a quel momento era stata espletata male o con scarsi risultati da altri prodotti già esistenti.
Per arrivare a identificare questo tipo di attività, non serve gettare alle ortiche dati psicometrici e demografici, analisi competitive, ricerche di mercato e consumer panel che certamente possono tornare utili per far affiorare idee interessanti sui comportamenti dei consumatori.
Tuttavia queste informazioni non sono di per sé sufficienti e devono essere integrate con le risposte a 5 domande fondamentali:
1) esiste innanzitutto “un’attività da sbrigare”, un job to be done?
2) dove ci sono nicchie di non-consumo?
3) quali espedienti sono stati inventati da un gruppo di consumatori per risolvere un problema?
4) quali attività o incombenze si vogliono evitare?
5) che impieghi sorprendenti sono stati inventati per prodotti già esistenti?
Si tratta di un processo complesso e questi pochi suggerimenti non sono certi esaustivi pur restando un buon punto di partenza. Per approfondimenti vi rimando all’articolo “Know your customers’ Jobs to be done” pubblicato da Harvard Business Review:
Per concludere, si prende atto di un problema: da decenni il tasso di successo dell’innovazione è scioccantemente basso.
Per questo è necessario andare oltre le informazioni relative al profilo del consumatore tipo e le correlazioni ricavate dai dati di mercato e chiedersi che cosa il cliente spera di ottenere in date circostanze.
Un possibile approccio efficace è quello di individuare delle nicchie di mercato in cui esistono attività svolte imperfettamente e, a partire da esse, sviluppare prodotti, esperienze di acquisto o fruizione e servizi che ne migliorino i risultati, risolvano problemi latenti soddisfando le vere esigenze del cliente.