Di tanto in tanto emergono nuovi approcci al modo in cui si lavora che portano a progressi significativi non solo per chi quel lavoro lo svolge ma anche per chi ne è il destinatario.
Si chiama tecnologia sociale ogni combinazione di strumenti e processi che, applicata al modo di produrre e lavorare, ha il potenziale di migliorare le cose.
Questo è il caso del design thinking i cui benefici sono ben spiegati da Jeanne M. Liedtka in un interessante articolo pubblicato da Harvard B. Review che riassumo brevemente a seguire.
Per un’organizzazione, un’azienda, grande o piccola che sia e indipendentemente dal settore merceologico di appartenenza, adottare il design thinking porta a due tipi di benefici: diretti e indiretti.
Da un lato è un approccio che libera energie creative per innovare con successo e genera coinvolgimento e impegno nella forza lavoro.
Dall’altro, introduce un modus operandi che interviene in profondità su preconcetti – status quo bias, ecc- e attaccamento emotivo ad un certo modo di svolgere il lavoro- abbiamo sempre fatto così, if it ain’t broke, don’t fix it– che paralizzazione l’innovazione.
Curiosamente questo tipo di approccio che è fortemente orientato a comprendere e migliorare l’esperienza del cliente- qualunque essa sia, di acquisto o fruizione di un prodotto o servizio- finisce per cambiare radicalmente la prospettiva degli stessi addetti all’innovazione.
Per comprendere a fondo i benefici del design thinking, si parte da una domanda: a cosa serve l’innovazione tanto per cominciare?
L’autrice individua 3 funzioni: generare soluzioni di valore superiore, ridurre costi e rischi del cambiamento e convincere la forza lavoro.
Creare soluzioni di valore superiore. Come?
- Riformulando il problema con domande originali e non scontate.
Se si vogliono soluzioni innovative e dal valore aggiunto, non è possibile partire dalle stesse domande che sono state poste finora. Perché domande ovvie porteranno necessariamente a soluzioni ovvie.
La proprietà nel caso di aziende medio-piccole e la dirigenza nel caso di realtà più strutturate, spinte dalla necessità di centrare gli obiettivi di fatturato, spesso non sono nelle condizioni di fermarsi e cambiare la natura delle domande che dovrebbero orientare la strategia.
La difficoltà per un’azienda è spesso quella di bilanciare questa necessità di breve termine con quella di inventare nuove domande e quindi nuovi approcci.
- Integrando la prospettiva del cliente, il cosiddetto user-driven approach, un approccio che parte dall’ascolto del cliente/utente per interpretarne bisogni e desideri. La difficoltà è quella di intuire dai risultati delle ricerche l’idea di qualcosa che ancora non esiste.
- Ascoltando e integrando voci diverse: idee originali nascono anche grazie ai contributi e alle prospettive degli outsider, vale a dire, di soggetti esterni all’organizzazione.
Ridurre costi e rischi del cambiamento
Poiché l’innovazione porta con sé costi ed incertezze, spesso chi se ne occupa avanza una vasta gamma di proposte tutte percorribili per diversificare e ridurre il rischio. Così facendo, però, si tende a disperdere energie su troppi fronti.
Spesso le idee più creative sono anche quelle più rischiose e potenzialmente portatrici di risultati impensabili, e sono proprio queste ad essere accantonate o eliminate del tutto.
Il design thinking fa in modo che ciò non accada aiutando gli innovatori a fare delle scelte basate su verifiche progressive.
Convincere la forza lavoro
Affinché l’innovazione sia possibile all’interno di un’organizzazione, è necessario coinvolgere e convincere tutti i membri della squadra sebbene ciò possa comportare dissensi e un certo caos iniziale.
Questo possibile scenario rivela una tendenza sottostante che è insita in ogni tentativo di innovare: la giustapposizione di due correnti opposte. Da un lato la necessità di efficienza e rigore per centrare gli obiettivi prefissati, dall’altro le spinte creative orientate al cambiamento.
Il design thinking è una tecnologia sociale che bilancia queste due spinte essendo un ottimo compromesso tra l’esigenza di struttura e la tensione al cambiamento.
Si sa che cambiare comportamenti e modalità operative è complicato perché porta con sé incertezza e disorientamento.
Per questo all’inizio quando si cerca di cambiare il comportamento sia individuale sia collettivo di un’organizzazione, è bene poter contare su un processo strutturato in modo da ridurre il carico cognitivo richiesto. Perché gran parte di ciò che facciamo quotidianamente è abitudinario, e per cambiare abitudini bisogna avere dei paletti che delimitano il sentiero.
Oltre a ciò, un approccio strutturato all’innovazione come quello del design thinking influenza positivamente il comportamento di un’organizzazione perché limita le possibili tendenze estreme di chi da un lato analizza eccessivamente un problema e di chi dall’altro lo salterebbe a piè pari.
Infine l’adozione del design thinking infonde sicurezza. La sicurezza necessaria a vincere la paura dell’errore e l’inazione che sono acerrime nemiche dell’innovazione.
Perché come ci ricorda Daniel Kahneman, l’essere umano è, dal punto di vista evoluzionistico, più fortemente motivato a evitare errori e non incorrere in minacce che a perseguire possibili ricompense. Nel corso del tempo, abbiamo imparato a comportarci in modo tale da ridurre possibili perdite anziché da massimizzare potenziali vincite.
Quindi, grazie ad un insieme di strumenti e processi ben codificati, questo approccio aiuta organizzazioni e aspiranti innovatori a sperimentare nuove idee con sicurezza.
Metodi e strumenti del design thinking
Gli strumenti del design thinking si ispirano alla teoria del Job to be done che a sua volta si rifà a ricerche di tipo etnografico e sociologico per migliorare il cosiddetto consumer journey.
Il termine denota il percorso che il cliente compie dal momento in cui non è a conoscenza di un marchio o di un prodotto fino alla decisione di acquisto passando per tutta una serie di fasi intermedie.
Per arrivare a realizzare il consumer journey ideale, il design thinking identifica 3 fasi ognuna delle quali è caratterizzata dall’uso di alcuni strumenti in maniera sequenziale in cui l’output di uno diventa l’input di quello successivo.
Le tre fasi sono: la scoperta del cliente, l’ideazione e la verifica.
La scoperta del cliente
L’immersione
Tradizionalmente per capire cosa vogliono o di cosa hanno bisogno i propri consumatori, le aziende raccolgono dati di mercato tramite sondaggi, focus group e altri strumenti simili e poi li fanno analizzare e interpretare da esperti di settore che formulano delle ipotesi.
Quanto migliore è la qualità dei dati, tanto migliori saranno queste ipotesi.
Questo tipo di approccio è però condizionato dai preconcetti e dalla prospettiva di chi analizza i dati. Di conseguenza le idee che emergono sono frutto di una visione parziale che tende a riflettere bisogni esistenti anziché esplorarne di nuovi.
Il design thinking va oltre questo limite aiutando gli addetti all’innovazione a fare propria la prospettiva del destinatario di un bene o servizio. Come?
Facendo in modo che ci si immerga nell’esperienza dell’utente calandosi nei suoi panni.
È quello che ha fatto Katie Gaudion, collaboratrice di Kingwood Trust, un’associazione caritatevole inglese che si occupa di adulti autistici.
Il suo lavoro consiste nell’osservare i comportamenti degli assistiti con l’obiettivo di far adottare tutti gli accorgimenti possibili per prevenire incidenti o episodi di autolesionismo.
Durante uno dei suoi incontri Katie nota che Pete, un signore autistico che non parla, pizzica ripetutamente e con forza il rivestimento di un divano e strofina le proprie orecchie contro i solchi di una parete.
Su due piedi Katie si domanda: “in che modi possiamo impedire che Pete si faccia male in questo ambiente?”
In seconda battuta, tuttavia, prova a mettersi nei panni di Pete compiendo gli stessi suoi gesti.
E scopre qualcosa di sorprendente: quello che a suoi occhi era un vecchio divano diventa un oggetto morbido e piacevole al tatto e quello che era un muro ammaccato diventa il vettore di un’esperienza acustica sensazionale: l’ascolto della musica proveniente dalla stanza accanto.
La presa di coscienza di Katie ha introdotto un cambiamento di prospettiva: anziché concentrarsi esclusivamente sulla disabilità e sicurezza degli assistiti si è passati a ragionare su come migliorarme lo stato di benessere.
Questo è il senso dell’immersione nell’esperienza dell’utente.
Sense Making
Dall’immersione nell’esperienza dell’utente/cliente e da altri strumenti etnografici di ricerca si ottengono moltissime informazioni “grezze” che, per poter essere fruibili e tradotte in azioni concrete, devono essere organizzate e interpretate.
La sfida è proprio quella di dare un senso a tutte queste informazioni provenienti da più fronti facendo in modo che la prospettiva dell’utente- che poi è il beneficiario ultimo dell’innovazione- non sia offuscata dai preconcetti di chi analizza i dati.
Ed è proprio in questa fase che il design thinking dà il meglio di sé proponendo la cosiddetta gallery walk. Immaginate di attraversare la galleria di un museo dove anziché opere d’arte sono appesi dei cartelli che rappresentano il sentire degli utenti intervistati con tanto di nome, foto e citazioni che ne riflettono prospettive e sensibilità.
Ogni membro della squadra che si occupa di analizzare i dati è invitato a percorrere la galleria e ad appuntarsi su dei post-it le idee che ritiene più significative e rilevanti. Queste vengono successivamente confrontate e raggruppate per nuclei tematici.
A questo punto si forma un sottogruppo per ogni nucleo tematico che è stato individuato e si avvia una discussione che ha l’obiettivo di cogliere il senso di ciò che è stato espresso dagli utenti intervistati.
Questo strumento facilita il confronto all’interno della squadra promuovendo la generazione di idee originali e di soluzioni innovative.
Inoltre, poiché gli intervistati sono “presenti” e la loro prospettiva è ben evidente grazie alla forte componente visiva della galleria, si riescono a superare i preconcetti esistenti di chi analizza i dati che spesso portano a vedere solo ciò che si vuole vedere.
Allineamento
Questo è il momento in cui la squadra di innovatori si pone una domanda fondamentale: quale attività vogliamo che i nostri sforzi di progettazione svolgano al meglio?
Quando i tentativi di innovare non danno i risultati sperati è perché spesso si parte dalla domanda sbagliata che pone l’attenzione su ciò che non è possibile, sui vincoli imposti da una certa situazione.
Al contrario, questa domanda orienta l’attenzione sulle potenzialità dell’approccio innovativo e mette in moto un processo di indagine che suscita insofferenza verso lo status quo.
Così facendo, si creano le condizioni per la progettazione e realizzazione di attività innovative e di grande impatto per chi ne è il destinatario.
La generazione di idee
Emersione
Quali potenziali soluzioni si possono adottare? Con quali sfide si dovrà fare i conti? Quali soggetti coinvolgere? Come impostare la conversazione?
A partire da queste domande si struttura un percorso che porterà all’emergere di idee da trasformare in soluzioni attuabili.
Articolazione
Questo è il momento in cui si fa la cernita delle idee emerse nella fase precedente e si analizzano approfonditamente le ipotesi alla base di ciascuna di esse.
L’obiettivo è verificare che esistano le condizioni perché un’idea abbia successo e al contempo escludere o ripensare quelle proposte che sulla base di condizioni obiettive sono lontane dall’apportare i benefici attesi.
Inevitabilmente assieme alle idee vengono a galla anche i preconcetti di ciascuno.
Anche qui il ragionamento proposto dal design thinking aiuta a superare questo ostacolo perché formula la discussione come un’indagine su “ciò che dovrebbe essere vero sulla natura del mondo perché un’idea sia fattibile”.
L’aspetto forse più degno di nota del design thinking è la sua versatilità applicativa. Questo tipo di approccio all’innovazione infatti non si limita al mondo aziendale, ma può essere adottato da qualsiasi ecosistema fondato su interazioni interpersonali che tende al miglioramento o che è alle prese con un problema da risolvere.
Dalla clinica di salute mentale in Australia che è riuscita a ridurre del 60% il tasso di ricaduta dei propri assisti al sesto ospedale pediatrico per grandezza negli Stati Uniti che ha ripensato radicalmente il proprio modello di business mettendo al centro della propria attività il benessere della comunità e la prevenzione.