Se paragonassimo il cervello umano ad una matrioska, avremmo probabilmente una sequenza ad incastro di questo tipo:

  • la bambola matrioska più grande corrisponderebbe alla neocorteccia- la materia grigia- che presiede alle funzioni cognitive. È il cosiddetto cervello razionale.
     
  • La bambola centrale sarebbe il sistema limbico, il cosiddetto cervello emotivo.
    Ospita l’amigdala che è un po’ il centro delle emozioni, parla la lingua della paura e del piacere, influenza fortemente il comportamento emotivo e il livello di motivazione.  
  • La bambola più piccola sarebbe il cervelletto, detto anche cervello autonomo, che rende possibile tutta una serie di piccole cose fondamentali per la nostra esistenza, come la respirazione, permettendoci di pensare ad altro. 

Si tratta certo di una semplificazione che tuttavia ci aiuta a capire un aspetto fondamentale di ogni attività che richieda la capacità di coinvolgere qualcuno.   

Immaginate di essere immersi nella lettura di un libro e all’improvviso un frastuono proveniente dalla stanza accanto vi fa sobbalzare. In un istante la vostra attenzione che fino a qualche millisecondo prima era rivolta alle parole del libro viene bruscamente distolta dalla lettura e si orienta verso la fonte di quel rumore per cercare di capire cosa sta succedendo e se siete in pericolo. 

È la reazione istintiva dettata da una parte del nostro cervello, l’amigdala, che si preoccupa per la nostra sopravvivenza e che in questo momento assume il controllo di emozioni e comportamenti.

L’amigdala, che decodifica gli stimoli provenienti dai sensi per interpretare l’ambiente circostante, avvisa il cervelletto che incombe una minaccia. 

A questo punto il cervelletto rilascia una serie di ormoni, tra cui adrenalina e cortisolo, che dispongono il corpo ad affrontare prontamente il pericolo.

Per fare ciò, i muscoli devono rispondere rapidamente richiamando sangue e ossigeno in massa da altri organi e parti del corpo considerate non essenziali in questo momento. Una di esse è la neocorteccia, il centro logico-razionale del cervello.

In questi frangenti la priorità è sopravvivere e pensare non è così importante come fuggire o affrontare il pericolo imminente. 

Per questo motivo, la parte cosiddetta razionale del cervello si “disattiva” momentaneamente per non interferire con gli sforzi dell’amigdala il cui unico obiettivo è salvarci la pelle.     

Il battito cardiaco accelera, le pupille si dilatano, la pelle tende ad arrossire. Si perde la visione laterale, lo stomaco si irrigidisce, i vasi sanguigni si restringono e si inizia a tremare. Sono i segni che precedono la fuga o il combattimento. 

Mano a mano che il sangue defluisce dalla neocorteccia, la nostra capacità cognitiva regredisce al livello di quella di una scimmia ubriaca. Non si riesce a pensare, si inciampa sulle parole, si perde il controllo arrivando a sperimentare ciò che il Dott. Alan Watkins definisce DIY Lobotomy. Per approfondimenti vi rimando a questo intervento: 

La cosa sorprendente è che a scatenare questa reazione fisiologica estrema, definita the amygdala hijack da Daniel Goleman, non sono solo circostanze insidiose e potenzialmente dannose per la nostra incolumità fisica bensì tutto ciò che in un modo o nell’altro minaccia l’immagine cha abbiamo di noi stessi e il nostro bisogno di essere riconosciuti degni di valore. 

Questo è il semplice motivo alla base della nostra ritrosia a prendere il telefono e chiamare un nuovo potenziale cliente: il solo fatto di immaginare un’obiezione o un rifiuto è di per sé sufficiente a scatenare una reazione fisica esagerata che, a sua volta, genera paure irrazionali. Vorremmo controllarla, ma non sappiamo come fare o, quando ci proviamo, è troppo tardi. 

Perché temiamo così tanto di essere rifiutati e respinti?

Perché a differenza di tutte le altre emozioni, quella che sperimentiamo a seguito di un rifiuto attiva delle aree del cervello collegate al dolore fisico. Quando si viveva di caccia e raccolta, l’appartenenza al gruppo era di fondamentale importanza per sopravvivere. 

Venire banditi dalla comunità equivaleva ad una condanna a morte. Ecco perché abbiamo sviluppato una risposta fisiologica al rifiuto: doveva essere un deterrente a comportamenti socialmente dannosi.  

Gli individui che svilupparono sensibilità al dolore del rifiuto erano quelli più adatti a lavorare bene in gruppo e avevano quindi maggiori probabilità di sopravvivere e di trasmettere il proprio DNA. Ecco che la paura del rifiuto diventa un vantaggio competitivo nella battaglia dell’evoluzione. 

Per cercare di tenere a bada questa paura, si tende inconsapevolmente ad assumere un atteggiamento insicuro, passivo e timoroso che oggi, in un mondo radicalmente diverso, non fa che amplificare resistenza e rifiuto. 

Per timore di essere respinti, si preferisce navigare in acque sicure perpetuando comportamenti prestabiliti e usando un linguaggio verbale e paraverbale prevedibile e scontato.  

Ma poiché il nostro cervello è tendenzialmente pigro, la sua parte più primitiva- l’ amigdala- si è evoluta in modo tale da assecondare questa inclinazione naturale ignorando tutto ciò che è prevedibile, ordinario e ripetitivo. 

Di fronte ad uno schema già noto e quindi prevedibile, l’amigdala entra in modalità “risparmio energetico” e dà istruzioni alla parte razionale di fare altrettanto per potersi concentrare esclusivamente sulle interruzioni della normalità: tutto ciò che è nuovo, diverso e inatteso e che è potenzialmente importante per la nostra sopravvivenza fisica e sociale.

Questa semplice strategia adattiva per cui siamo portati da un lato ad ignorare schemi ripetitivi e noiosi e dall’altro a prestare attenzione a tutto ciò che sovverte questi stessi schemi è la chiave per capire, tra le altre cose, perché non riusciamo a conquistare l’attenzione di un nuovo potenziale cliente. 

Nel momento in cui mi comporto come il venditore da manuale riproponendo uno schema trito e ritrito, appaio indifferenziato agli occhi e agli orecchi del mio interlocutore del quale non avrò l’attenzione perché sono prevedibile. Non suscitando paure né evocando piacere, non sono interessante, anzi rischio di essere indifferente. 

A questo punto il non-più-potenziale cliente corre ai ripari recitando con distacco il suo copione, scritto apposta per mantenere alla larga i venditori indifferenziati. 

Non vedendo nessuna differenza rispetto alla concorrenza, inizia a snocciolare una sfilza di obiezioni a cui il venditore risponde in modo prevedibile finendo per essere liquidato frettolosamente.   

Il venditore che, al contrario, è in grado di ribaltare questi schemi creando l’inatteso attira il cliente a sé anziché farsi respingere. 

Come? 

Introducendo un elemento di novità e di diversità non necessariamente in ciò che vende bensì in come lo vende. 

Cambiando le tonalità della scenografia e riscrivendo la sceneggiatura, il venditore non ordinario attira e mantiene l’attenzione del proprio interlocutore perché sa come sorprenderlo.   

Quando ad esempio un prospect vi dice di avere già un fornitore che soddisfa pienamente le sue esigenze, anziché ribattere con una frase del tipo “se mi concedesse un’opportunità, potrebbe dirsi ancora più soddisfatto”, provate un approccio diverso, imprevedibile: 

“Fantastico. Se le offrono un servizio eccezionale a prezzi vantaggiosi, non ha motivo di voler cambiare”. Le chiedo solo un paio di minuti per capire meglio le vostre esigenze e vedere se possiamo aiutarvi”.  

Se vi dicono di essere impegnati, non state a discutere chiedendo solo qualche istante del loro tempo, ma provate a disattendere le loro aspettative: “è proprio questo il motivo per cui chiamo, vorrei trovare un momento più adatto per una breve conversazione.”

Quando tagliano corto chiedendovi qualche informazione via mail, siate pronti a mangiare la foglia e a capire che è il tipico stratagemma di chi non vuole lasciarsi coinvolgere. 

“Bene, mi fa piacere sapere che voglia approfondire. Tuttavia, visto che lei è impegnato e che il materiale a disposizione è molto, non vorrei crearle confusione. Può dirmi nello specifico di che tipo di informazione ha bisogno?

Quando vi dicono di non essere interessati, non ha senso provare ad argomentare il motivo per cui dovrebbero stare ad ascoltarvi. Assecondate l’obiezione e provate a ribaltarla: 

“È ragionevole, la maggior parte delle persone con cui parlo non è interessata finché non si rende conto di quanto può risparmiare/lavorare in modo più efficiente/aumentare i margini di guadagno,etc..Non so nemmeno se il nostro servizio sia adatto alle vostre necessità. Per questo le propongo di incontrarci, che ne dice di martedì prossimo ore 9:00?”

Non si tratta di frasette da imparare a memoria, bensì di linee guida di carattere generale da adattare al vostro contesto e settore specifico. 

Al di là delle singole parole o espressioni da usare, l’importante è disattendere le aspettative del vostro interlocutore facendogli percepire che siete diversi dal solito venditore indifferenziato che non fa nessuno sforzo per risultare attraente.