Studiare una lingua: questione di decisione

Quando si inizia a studiare una lingua? Ovviamente quando ci si connette a Duolinguo e si gioca macinando un livello dietro l’altro, quando si sfoglia il libro di grammatica, si fa qualche esercizio e magari si comincia anche a trascrivere una lista di parole da memorizzare. Sorprendente, vero? Sì, per il fatto che è tutto sbagliato. 

Si inizia a studiare una lingua nel momento in cui si decide di farlo. E come per molte altre decisioni impegnative, anche questa richiede una certa dose di pianificazione in assenza della quale, in preda allo sconforto e alla frustrazione, si rischia di abbandonare la nave ancora prima di salpare. Perché, sebbene all’inizio, sulla scia dell’entusiasmo, sembra che tutta vada come previsto e già ci immaginiamo di padroneggiare la lingua di arrivo come se fossimo bilingui, col passare del tempo, gli ostacoli con cui inevitabilmente ci si scontra faranno naufragare i nostri piani più ambiziosi. 

Questo succede quando non si pensa in anticipo al come, quando e dove studiare una nuova lingua. E come spesso accade, anche in questo caso è molto probabile che non si abbiano a disposizione tutte le informazioni necessarie a farsi un’idea chiara di tutto ciò che serve per portare a termine con successo un nuovo progetto per non parlare poi di quali siano i criteri che definiscono il concetto stesso di successo. Di fronte ad una decisione del genere brancoliamo un po’ nel buio e, per compensare la mancanza di informazioni, ci affidiamo alla cosiddetta euristica, vale a dire, una serie di regole pratiche e scorciatoie che ci aiutano ad orientarci. In parole semplici, quanto più semplicemente e velocemente riesco ad immaginarmi in una situazione in cui parlo correntemente una lingua straniera, tanto più è probabile che questo scenario si verifichi per davvero. Se nella mia mente riesco a passare in rassegna senza particolari sforzi tutto ciò che serve per arrivare a padroneggiare una lingua, allora con ogni probabilità riuscirò anche ad avere successo nell’impresa. 

Tuttavia, pur avendo chiare tutte queste cose- come affinare la capacità di comprensione, come ricordare il lessico, come praticare la conversazione, ecc.- può succedere che la simulazione mentale in cui mi immagino di parlare spontaneamente la lingua di arrivo non coincida con i risultati che poi effettivamente raggiungo. 

Questo si verifica a causa della cosiddetta pianificazione fallace. In sintesi, ciò significa che sopravvaluto le mie capacità di arrivare al traguardo e sottovaluto tutto ciò che è necessario a raggiungerlo: energie, tempo, risorse, ecc. Questo disallineamento si verifica tipicamente quando ci si concentra solo sugli aspetti positivi del lavoro (ciò che sarò in grado di fare quando padroneggerò una certa competenza) senza considerare tutte le fasi e le attività richieste per acquisire un certo livello di competenza. Per evitare questa trappola, devo separare i motivi per cui decido di studiare una lingua dal processo che mi porterà al risultato. Anziché partire dal risultato- ad esempio, intrattenere una discussione scorrevole nella lingua di arrivo di almeno 5 minuti senza consultare il dizionario-, mi concentro sul processo e identifico quali aspetti praticare e come praticarli per arrivare al traguardo. 

Questo vale per qualsiasi progetto autodidattico che decidiate di intraprendere. Iniziate a simulare mentalmente nei dettagli il processo che vi porta al risultato anziché partire da ciò che vorreste poter fare quando avrete acquisito una nuova abilità. 

Un altro fattore che può condizionare negativamente l’esito di una simulazione mentale per arrivare ad una decisione è l’immaginarsi uno scenario diverso dopo che una circostanza si è già verificata. “Cosa sarebbe accaduto se avessi studiato cinese anziché spagnolo”. Questa cosa si chiama pensiero controfattuale e in circostanze come questa avere dei ripensamenti certo non aiuta. 

Ci sono poi altre due insidie da tenere sotto controllo. Si chiamano anchoring e adjustmernt. Immaginiamo di iscriverci ad un corso intensivo di tedesco e di attenerci scrupolosamente all’unico approccio didattico “a taglia unica” proposto dalla scuola. Dopo aver scelto questo piano d’azione, farò molta fatica a distaccarmene e a cambiare direzione sebbene non ottenga i risultati attesi. In altre parole, tendiamo a restare ancorati all’approccio iniziale sebbene non funzioni (anchoring) anziché cambiare strategia in corso d’opera (adjustement). 

Strettamente connesso al concetto di anchoring e sempre pronto a compromettere il nostro processo decisionale è il cosiddetto pregiudizio di conferma (confirmation bias) che ci porta a dare credito solamente alle informazioni che rafforzano le credenze e i preconcetti con cui ragioniamo senza considerare informazioni discordanti. Quando sappiamo cosa cercare-la conferma di ciò che già crediamo essere vero-, è molto più facile trovarlo. Il che vuol dire che se penso di essere incapace a parlare inglese, troverò facilmente prove che mi diano ragione. Il rischio è che tenderò ad ignorare tutte le informazioni di ritorno che non sono in linea con ciò che credo sia vero precludendomi ogni possibilità di migliorare. 

La ciliegina sulla torta è il cosiddetto pregiudizio a posteriori: dopo averci provato e non aver raggiunto nessun risultato degno di nota, concludo con un bel “tanto sapevo che non ce l’avrei fatta comunque!”.   

Sembreranno cose banali, ma credo che la consapevolezza di questi meccanismi ci possa aiutare a prendere decisioni in modo più maturo e, perché no, a vivere più felicemente.