Parlando di persuasione non si può prescindere dal concetto di percezione perché, se la realtà che ci circonda è oggettiva, il modo in cui la percepiamo è altamente soggettivo.
La nostra percezione del reale è la lente attraverso la quale interpretiamo e diamo un senso a tutto ciò che accade.
Quindi se voglio far sì che il mio interlocutore agisca in un certo modo, devo creare le condizioni che lo predispongano a percepire il contesto da un certo punto di vista.
A tal proposito, l’errore più comune che si commette quando si cerca di convincere qualcuno è quello di saltare direttamente alla richiesta senza preparare il terreno.
Preparare il terreno significa attivare degli schemi cognitivi che innescano un cambiamento nella percezione e nel comportamento del proprio interlocutore.
Che cos’è uno schema?
Uno schema è un’associazione di idee più o meno correlate la cui attivazione a livello conscio o inconscio influenza il modo in cui percepiamo una certa situazione e di conseguenza il modo in cui rispondiamo ad un determinato evento.
Riporto come esempio i risultati di un esperimento condotto da Fitzsimons e Bargh.
I due ricercatori hanno chiesto a due gruppi di soggetti di leggere una breve scenetta avente come protagonista uno studente e di valutarne il livello di motivazione su una scala da 1 a 9 (1= scarsa motivazione 9= elevata motivazione).
La scenetta è la seguente: “Mike ha appena iniziato il secondo anno di college. Il suo primo anno si è concluso con risultati molto buoni in alcune materie e con risultati non così buoni in altre. Sebbene abbia perso delle lezioni, nel complesso la frequenza ai corsi è molto elevata. Entrambi i suoi genitori sono medici e Mike si è pre-iscritto a Medicina, ma non ha ancora deciso se questa è la strada che vuole intraprendere”.
Di per sé il contesto è abbastanza ambiguo per cui le informazioni possono essere percepite positivamente o negativamente.
Ed è proprio sull’ambiguità che i ricercatori puntano per capire come la percezione del contesto cambi sulla base del mindset- prospettiva o cornice mentale- del soggetto.
Per far sì che adottino una certa cornice mentale, i soggetti sono stati predisposti alla valutazione da un’attività preliminare.
Prima della lettura della scenetta, a ciascuno dei due gruppi viene assegnato un questionario da compilare che non ha nessuna attinenza con il contenuto del testo.
Al primo gruppo viene chiesto di rispondere a delle domande sulla propria madre, al secondo sul proprio migliore amico.
I risultati sono interessanti: il primo gruppo in genere assegna a Mike un grado di motivazione significativamente più elevato rispetto al secondo perché l’esposizione all’idea della propria madre ha attivato una serie di associazioni di concetti- uno schema appunto- che ricomprende anche l’idea di motivazione.
Dal momento che la scenetta è la stessa, il fatto che un gruppo valuti la motivazione di Mike diversamente dall’altro è strano e inaspettato.
Che cosa c’è di così influente nel questionario sulla madre che altera la percezione dei soggetti del primo gruppo?
In genere motivazione e impegno sono atteggiamenti che tendiamo ad associare più a nostra madre che al nostro migliore amico.
E dal momento che il desiderio di rendere orgogliosa la propria mamma è uno dei fattori intrinseci alla base dell’impegno verso il successo, l’aver instillato nei i soggetti del primo gruppo l’idea della mamma ha attivato e rafforzato il concetto di motivazione.
Sebbene la scenetta sia rimasta invariata, l’idea della mamma è diventata la lente attraverso cui i soggetti del primo gruppo hanno percepito il contesto reinterpretandone l’ambiguità in un’ottica decisamente positiva.
In questo caso l’associazione di idee madre-motivazione ha un’influenza positiva sulla percezione del destinatario.
A volte, tuttavia, l’attivazione di uno schema rischia di fare emergere uno stereotipo.
Pensando a persone di origini asiatiche, ad esempio, una delle cose che ci vengono in mente quasi automaticamente è la bravura con i numeri.
Dei ricercatori di Harvard hanno voluto verificare questa associazione con un esperimento particolarmente brillante perché hanno coinvolto un gruppo di persone che rispecchia due stereotipi tra loro in conflitto: donne asiatiche (Shih, Pittinsky, & Ambady, 1999).
Lo stereotipo secondo il quale gli asiatici avrebbero competenze matematiche superiori è in contrasto con quello secondo il quale le donne non sarebbero poi così brave con i numeri.
Anche se non crediamo nella veridicità di questi stereotipi- e non ci crediamo-, il semplice fatto che vengano evocati è sufficiente ad alterare percezione e comportamento.
L’esperimento chiama in causa tre gruppi di donne asiatiche che si cimentano in una prova di matematica.
Ma prima di mettersi all’opera, a ciascuno dei tre gruppi viene chiesto di rispondere ad una batteria di domande: alle donne del primo gruppo vengono assegnate delle domande inerenti la femminilità; alle donne del secondo gruppo vengono poste delle domande riguardanti le loro origini asiatiche; alle donne del terzo gruppo- il gruppo di controllo- vengono fatte delle domande neutre che non riguardano né il loro essere donna né le loro origini.
Alla prova dei fatti il primo gruppo che è stato predisposto ad attivare lo schema “donna” ottiene dei risultati inferiori rispetto al gruppo di controllo, mentre il secondo gruppo svetta in cima alla classifica con dei risultati nettamente superiori al primo e al terzo.
Che cosa è successo?
L’aver predisposto i soggetti a pensare ad un insieme di idee ben preciso- “donna”, “origini asiatiche”- ha fatto sì che le i concetti associati a quel particolare tipo di schema diventassero predominanti influenzando il comportamento e quindi i risultati ottenuti nella prova.
È ciò che gli psicologi chiamano priming: il fenomeno che predispone qualcuno ad attivare un determinato schema mentale, una cornice attraverso la quale si percepisce la realtà.
Come mai si verifica questo fenomeno?
La risposta risiede nella cosiddetta rete semantica, vale a dire, il modo in cui la mente umana archivia conoscenze e informazioni nel corso del tempo.
Tutto ciò che apprendiamo entra a far parte di questa grande rete all’interno della quale ogni concetto rappresenta un nodo.
Una rete semantica è un po’ come un flipper con i suoi circuiti, passaggi obbligati, bersagli, meccanismi di apertura e chiusura.
Quando la biglia percorre distanze brevi, rimbalzando velocemente da un bersaglio all’altro, i collegamenti tra nodi sono brevi e la rete semantica è densa.
Quando invece la biglia percorre distanze più lunghe e impiega più tempo a colpire un bersaglio, la rete semantica è diffusa.
Quanto più due o più concetti sono tra loro affini e disponibili nella nostra memoria, tanto più forte è il collegamento neurale che li lega.
Quindi, evocando un’idea all’interno della rete semantica, si innesca un’attivazione a catena di tutti gli altri concetti ad essa correlati.
È ciò che viene definito spreading activation (Collins & Loftus, 1975). Questo fenomeno fà si che un certo tipo di “innesco”- un questionario, un’immagine, una serie di parole- renda predominante e immediatamente disponibile a livello inconscio un insieme di idee correlate.
Che cosa c’entra tutto ciò con la capacità di persuasione?
A seconda delle circostanze, sapere come attivare quale schema nella mente del proprio interlocutore può fare la differenza tra il soddisfacimento o meno della nostra richiesta.