Quante volte vi è capitato di sentirvi dire “Siete cari rispetto ai vostri concorrenti” oppure “l’offerta mi sembra in linea con le nostre aspettative, ma il prezzo è eccessivo”?
Queste obiezioni, per quanto prevedibili, sono sempre destabilizzanti perché arrivano nel momento in cui abbiamo l’impressione di aver aver già concluso la vendita.
Se in una vendita di tipo “transazionale” – cioè meramente basata su una transazione in cui il prodotto o servizio è facilmente sostituibile e il processo di acquisto è ridotto ai minimi termini- il prezzo è forse il primo fattore determinante, anche le vendite più complesse ne sono fortemente influenzate.
Sebbene con modi e tempi diversi, quella sul prezzo è un’obiezione con cui un commerciale prima o poi deve fare i conti. E in quel momento è meglio essere preparati perché ad improvvisare si rischia di perdere il controllo della conversazione.
A ben guardare, tuttavia, l’oggetto di un’obiezione non è poi così rilevante. Perché, che si tratti di prezzi troppo elevati, tempi di consegna troppo lunghi, l’antipatia del commerciale, ecc., la ragione di fondo per cui solleviamo un’obiezione è la nostra avversione al rischio.
Perché siamo restii a cambiare?
Perché abbiamo paura delle conseguenze negative che possono scaturire da qualsivoglia cambiamento e di fronte all’incertezza siamo generalmente più inclini ad agire o non agire perché motivati dal timore di una perdita anziché dalla prospettiva di un guadagno.
E quindi viviamo secondo il principio per cui “if it aint’t broke, don’t fix it”, il che ci porta a mantenere lo status quo sebbene favorisca comportamenti improduttivi, inefficaci e quindi risultati mediocri. Non è rotto, ma non funziona nemmeno in modo ottimale.
È quello che in inglese si chiama safety bias, l’inclinazione innata alla sicurezza che ci caratterizza in quanto esseri umani. La conseguenza di ciò, la tocca con mano ogni giorno il commerciale che si confronta con il responsabile di un ufficio acquisti: il cervello di quest’ultimo è indotto ad essere molto più attento ai possibili esiti negativi- tutto ciò che può andare storto cambiando fornitore- anziché ai potenziali benefici che ne deriverebbero.
Questa reticenza al cambiamento trova il suo senso in termini evoluzionistici e deriva dalla semplice necessità di sopravvivere. Sebbene la prospettiva di lasciarsi sfuggire qualcosa di buono come un pasto gratuito sia tutt’altro che allettante, rischiare di diventare il pasto di qualcun altro lo è ancora meno.
In quanto esseri umani aneliamo sicurezza e prevedibilità nelle relazioni, nel contesto, nei comportamenti perché tutto ciò che non è sicuro ci destabilizza. E nell’immaginario collettivo, il venditore non rientra nella percezione di sicurezza.
Nel corso di ogni interazione commerciale o meno, ognuno di noi porta con sé il proprio bagaglio emotivo che condiziona profondamente i nostri atteggiamenti e comportamenti.
Quello di chi si occupa di acquisti trabocca di ricordi di tutte quelle volte in cui un nuovo fornitore ha promesso e non è stato di parola, ha consegnato in ritardo o non ha consegnato affatto, ha cambiato il prezzo dopo averlo concordato, ecc.
E poiché i ricordi negativi attecchiscono più in profondità di quelli positivi, non c’è da stupirsi di fronte alla sfiducia e allo scetticismo del nostro interlocutore.
Quando la volontà di mantenere lo status quo e quella di percorrere la via più sicura- che a ben guardare sono due facce della stessa medaglia- si intrecciano, ecco che si crea un muro emotivo impenetrabile fatto di obiezioni ambigue e nebulose che respinge ogni vano tentativo di persuasione basato sulla logica.
Il commerciale che è nella mediocrità ingaggia una battaglia contro il muro e cerca di sfondarlo a colpi di testate provando a convincere il proprio interlocutore che si sbaglia e che le sue paure sono infondate.
Solo che così facendo, dà adito agli stereotipi negativi che aleggiano sulla sua stessa figura e innesca una reazione di reattanza psicologica nel potenziale cliente.
Il commerciale non ordinario sa che non ha senso provare a persuadere un potenziale cliente a colpi di argomentazione. Invece lo aiuta a scavalcare il muro dello status quo predisponendolo al cambiamento a piccoli passi.
Come?
Con una serie di micro-impegni e sfruttando l’effetto del cosiddetto priming.