Tesi o rilassati: qual è lo stato ottimale per affrontare una sfida?

Tesi o rilassati: qual è lo stato ottimale per affrontare una sfida? 

Mentori, allenatori e psicologi della prestazione suggeriscono, a seconda della filosofia cui si ispirano, l’una o l’altra opzione. 

È meglio mantenere un elevato livello di tensione per dare il meglio di sé e presentarsi alla sfida galvanizzati e carichi. Sul fronte opposto c’è chi raccomanda di rimanere rilassati sotto pressione per agire con lucidità ed efficacia. 

La domanda è fuorviante ed entrambe le risposte sono incomplete. 

Vediamo perché.

Ricondurre la qualità di una prestazione al livello di “eccitazione” o attivazione del nostro organismo è riduttivo. Con livello di “eccitazione” mi riferisco alla risposta elaborata dal sistema nervoso autonomo di fronte ad una sfida o ad un pericolo- non necessariamente una situazione che metta a repentaglio la nostra incolumità, ma qualsiasi circostanza che esponga il nostro ego e che ci metta alla prova-. Di fronte ad una situazione del genere, il nostro organismo risponde in due modi: da un lato si dispone a combattere o fuggire e dall’altro si finge paralizzato. 

Ogni tentativo di prepararsi psicologicamente ad un evento importante coinvolge il meccanismo primordiale di lotta o fuga. È il sistema nervoso autonomo che determina la risposta alla paura rilasciando adrenalina (mi preparo alla fuga) o noradrenalina (mi dispongo a combattere). L’altra possibile risposta fisiologica ad una situazione di paura è il “congelamento”: il mio corpo si paralizza, si finge morto. È curioso il fatto che, mentre in molti abbiano sentito parlare di adrenalina, il neurotrasmettitore dell’accelerazione, a pochi sia giunta voce del neurotrasmettitore del rallentamento, l’acetilcolina. Quando mi fingo morto o mi blocco di fronte ad una situazione di paura, il mio corpo rilascia acetilcolina. L’aspetto interessante è che né l’uno né l’altro sono particolarmente utili ad affrontare situazioni che richiedono lucidità e concentrazione. 

Se mi trovo a parlare in pubblico, a disputare la finale di un torneo importante o a sostenere un esame, la qualità della mia prestazione dipende solo in parte dal tipo di risposta del sistema nervoso autonomo.

Ma allora se lo stato di eccitazione dell’organismo determina solo parzialmente la buona riuscita o meno di una sfida, qual è il tassello mancante? 

Qui entra in gioco il sistema neuroendocrino responsabile, tra le altre cose, della produzione di due ormoni chiave che influenzano fortemente il nostro stato emotivo e di conseguenza il nostro comportamento: il cortisolo da un lato e il deidroepiandrosterone dall’altro.

Il rilascio di cortisolo, anche detto ormone dello stress, avviene quando il nostro organismo si trova nel cosiddetto stato catabolico, associato ad un aumento del consumo di energia. Numerose ricerche mostrano come elevati livelli di cortisolo nel sangue siano correlati a fenomeni depressivi. Il cortisolo innesca emozioni negative che a loro volta ne aumentano la produzione generando un circolo vizioso. Risentimento, rabbia e frustrazione sono sentimenti associati a questo stato negativo. 

Sul versante opposto, il deidroepiandrosterone, precursore del testosterone e degli estrogeni, è correlato a stati emotivi positivi quali entusiasmo, curiosità e gioia. L’organismo si trova nel cosiddetto stato anabolico che favorisce la produzione di energia. 

Ora immaginando di visualizzare le diverse risposte dei due sistemi nervoso autonomo e neuroendocrino, potremmo tracciare il quadrante della prestazione (figura sotto) nel quale l’asse verticale rappresenta il livello di eccitazione dell’organismo e l’asse orizzontale rappresenta lo stato emotivo.

Nella parte superiore dell’asse verticale c’è la risposta lotta/fuga che corrisponde all’attivazione massima dell’organismo con il rilascio di adrenalina e/o noradrenalina. Sullo stesso asse in basso abbiamo la risposta diametralmente opposta: la disattivazione completa dell’organismo caratterizzata dalla paralisi, accompagnata dalla produzione di acetilcolina. 

Dal momento che, come si è visto nell’articolo precedente, il nostro comportamento in una data situazione e di conseguenza la qualità dei nostri risultati sono determinati dal nostro stato emotivo, ci rendiamo conto di come l’essere tesi o rilassati di fronte ad una sfida non è il terreno su cui ci giochiamo il successo del nostro operato. 

Perché posso anche essere rilassato e trovarmi nella parte inferiore del quadrante, ma se il mio stato emotivo è negativo e provo risentimento, rabbia o  frustrazione (parte destra del quadrante), il cortisolo, a mia insaputa, interferisce pesantemente con la capacità di pensare in modo chiaro ed efficace e quindi pregiudica il mio comportamento. 

Viceversa, se mi trovo sul versante sinistro del quadrante, dove emozioni positive favoriscono la produzione di deidroepiandrosterone che a sua volta alimenta uno stato emotivo positivo, innescando un circolo virtuoso, sperimento una condizione di coerenza tra fisiologia e comportamento in cui il mio organismo, a prescindere dallo stato di attivazione, è attraversato da energia positiva. 

Quindi ciò che davvero conta quando si tratta di essere costanti nella qualità di qualsivoglia prestazione è stabilire se mi trovo nella parte destra o sinistra del quadrante e non tanto nella parte superiore o inferiore. 

Spesso si pensa che l’antidoto allo stress e all’incapacità di essere costanti nei propri risultati sia il rilassamento o il rallentamento dell’organismo. Siamo ossessionati dalla necessità di rilassarci, ma questa ossessione spesso poggia su una concezione errata di come funziona la nostra fisiologia. Proprio come ci sono due tipi di attivazione- attivazione positiva con emozioni quali entusiasmo e passione (quadrante superiore sinistro) e attivazione negativa con emozioni quali rabbia e frustrazione (quadrante superiore destro)- ci sono anche due possibili stati di rilassamento: posso essere rilassato sperimentando uno stato emotivo positivo (quadrante inferiore sinistro) o negativo (quadrante inferiore destro). Nel primo caso prevalgono sentimenti quali gioia, curiosità e serenità; nel secondo caso subentrano apatia, noia e disinteresse. 

Il problema è che quando sperimento questo stato di rilassamento negativo, il mio organismo si trova in uno stato catabolico e rilascia cortisolo che, come già detto, pregiudica la capacità di pensare e di agire in modo efficace. Il problema è aggravato dal fatto che penso di stare bene perché sono rilassato, ma non è così perché il cortisolo contribuisce a creare condizioni pericolose per la mia stessa salute. 

Se non altro, quando mi trovo nella parte superiore del quadrante e sperimento uno stato negativo, sono consapevole del fatto che c’è qualcosa che non va e quindi sono più incline ad agire di conseguenza. 

Il semplice fatto che abbiamo più o meno imparato a distaccarci da sentimenti negativi non significa che la negatività sia scomparsa. Anzi, permane e interferisce sia la nostra salute sia con la qualità delle nostre azioni.

Ecco che se vogliamo essere in grado di agire al meglio delle nostre capacità con risultati costanti nel tempo dobbiamo saper distinguere se ci troviamo nella parte destra o sinistra del quadrante. Questo discernimento è alla base di una prestazione di qualità.